Secondo gli investigatori una serie di leggerezze e di errori a catena avrebbero causato la morte del paziente
E' morto a 54 anni dopo aver subito 19 interventi in seguito a una diagnosi inequivocabile: occorre rimuovere immediatamente il polipo al colon, responsabile di un grave tumore. M.N. Si affida così ai medici del Campus Biomedico di Roma per un'operazione delicata, da mani esperte. E invece, secondo il pm Mario Ardigò e l’aggiunto Nunzia D’Elia, ci sono state una serie di leggerezze alternate a dilettantismo e superficialità che alla fine hanno causato la morte del paziente.
Un ricovero che l'ha costretto a entrare e uscire dalle sale operatorie, per ben 19 volte. I giudici per le indagini preliminari hanno convocato per il 7 febbraio prossimo M. C:, il chirurgo che ha operato M.N. e che, secondo la ricostruzione degli investigatori, avrebbe commesso una clamorosa negligenza.
Ma vediamo che cosa sarebbe accaduto quella mattina: M.N. senza saperlo, era affetto da una patologia che limitava l’afflusso del sangue alle parti addominali, ovvero una vasculopatia mesenterica che, sempre secondo i magistrati, si sarebbe potuto rilevare prima dell'intervento. E invece M.C. nell’intento di rimuovere il tratto di colon affetto da tumore, chiude un’arteria intestinale bloccando quasi del tutto l’afflusso del sangue alle parti addominali. Un errore semplice che tuttavia poteva essere evitato con esami approfonditi sul paziente.
Ma non finisce qui: nell'incartamento si legge che M. C. dispose un esame radiologico circoscritto alla massa tumorale, escludendo il resto. Il documento degli investigatori aggiunge che «Un esame della vascolarizzazione dell’apparato digerente avrebbe dovuto essere espressamente richiesto dal chirurgo per avvalersene nel corso dell’intervento, come misura prudenziale per evitare errori pericolosi».
Il chirurgo decide di intervenire, praticamente al buio causando la necrosi a una serie di organi vitali che non consentiranno al paziente di riprendersi. L’operazione, riporta il Corriere della Sera, «che aveva compromesso l’apporto vascolare al colon» sottolineano i consulenti, apre la strada a un’infinita serie di medicazioni e nuovi interventi sul corpo già compromesso del paziente.
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